Mente e Corpo

di Moshe Feidenkrais

RI-EDUCAZIONE
STANDARDS DI NORMALITA’
TECNICHE PER L’INSEGNAMENTO INDIVIDUALE
LE TECNICHE DI GRUPPO
POSTURA ERETTA E AZIONE CORRETTA

Il modo in cui la mente e il corpo sono collegati è, per gli esseri umani, oggetto d’indagine da parecchi secoli. “Una mente sana in un corpo sano” ed altre frasi del genere testimoniano la concezione di una certa forma di unità. Presso altre filosofie, la mente “sana” rende sano il corpo.

Io credo che l’unità della mente e del corpo sia una realtà oggettiva. Non si tratta solo di parti in qualche modo collegate l’una all’altra, ma di un tutto inseparabile al momento del funzionamento. Un cervello senza corpo non può pensare; ridotto ai minimi termini, vi sono funzioni motorie che assicurano il manifestarsi delle funzioni mentali corrispondenti.

Facciamo alcuni esempi per concretizzare questo punto:

1 – Impieghiamo più tempo per pensare i numeri da 20 a 30 che da 1 a 10, sebbene gli intervalli numerici fra 1 e 10 siano gli stessi che intercorrono fra 20 e 30. La differenza è determinata dal fatto che il tempo necessario per pensare i numeri è proporzionale al tempo necessario per pronunciarli. Una delle astrazioni più “pure” – il contare – è quindi inestricabilmente connessa con l’attività muscolare attraverso la sua organizzazione nervosa.

In generale, nel caso del contare oggetti, troviamo che gli elementi motori della vista e della parola riducono la velocità del pensiero al proprio livello d’attività. La maggior parte delle persone non può pensare con chiarezza senza attivare le funzioni motorie del cervello quanto basta ad acquisire consapevolezza degli schemi verbali che rappresentano il pensiero. E’ certamente possibile, con un allenamento adeguato, inibire parzialmente l’aspetto motorio del pensiero ed aumentare di conseguenza la facilità del pensare stesso.

2 – La visione maculare – quella che consente una visione chiara, distinta – è limitata ad una piccolissima superficie. La percezione chiara del contenuto di ciò che vediamo leggendo richiede il tempo necessario ai muscoli della vista per esplorare la superficie esaminata. Constatiamo ancora una volta l’unità funzionale della percezione e della funzione motoria.

Questi esempi indicano come si possano ottenere un aumento della velocità e della chiarezza del pensiero con la riduzione dell’estensione dei movimenti corporei e con un maggiore affinamento delle capacità di controllo muscolare.

Jacobson afferma che, durante il rilassamento muscolare profondo, è difficile, se non impossibile, pensare senza rilevare tensioni in qualche muscolo. Persino visualizzando un oggetto ad occhi chiusi, si può avvertire una tensione dei muscoli oculari.

Osservate parimenti quanto noi conserviamo persistentemente, nel corso della nostra vita, gli stessi pensieri e gli stessi modi di agire; ad esempio, utilizziamo gli stessi schemi di organizzazione dell’apparato fonetico, riproducendo la stessa voce, tanto da poter essere identificati per decine di anni grazie ad essa. Ciò vale anche per la nostra scrittura, i nostri atteggiamenti corporei, ecc; fintanto che non si verificano cambiamenti evidenti in questi elementi, non ve ne sono nelle nostre chiacchiere, nei nostri comportamenti e nei nostri stati d’animo.

Non abbiamo sensazione alcuna delle attività interne al sistema nervoso centrale. Possiamo percepirne le manifestazioni solo nella misura in cui l’occhio, l’apparato vocale, la mobilizzazione facciale e il resto del corpo provocano la nostra consapevolezza. E’ questo lo stato di coscienza!

E’ quasi fuori dubbio per me che la funzione motoria, e forse i muscoli stessi, partecipino alle nostre funzioni superiori e ne siano parte stessa. Ciò è vero non solo per funzioni superiori come cantare, dipingere e amare, che sono impossibili senza attività muscolari, ma anche per pensare, ricordare e provare sentimenti.

Consideriamo il sentimento in modo più dettagliato. Posso sentirmi felice, arrabbiato, spaventato, disgustato. Mi sento leggero, la mia respirazione è distesa, il mio viso è sul punto di sorridere – mi sento allegro. Il mio atteggiamento motorio è molto diverso quando mi sento disgustato – in quel momento il mio viso è quello di un uomo che ha appena vomitato o sta per farlo. Contraggo la mascella inferiore, i pugni, la mia respirazione è incompleta, dal ritmo accelerato, gli occhi e la testa si muovono a scatti, il collo si irrigidisce – sono in collera e pronto a picchiare, ma cerco di non lasciarmi trasportare. Se sono arrabbiato, gemo, cerco di andarmene oppure sono completamente rigido.

Di solito vi è dunque uno schema motorio sufficientemente chiaro, anche per una valutazione oggettiva dell’intensità di ciò che avverto. Che cosa sopraggiunge per primo lo schema motorio o il sentimento? Questo problema ha dato luogo a numerose teorie celebri. Da parte mia, sostengo che essi costituiscono fondamentalmente un’unica funzione. Non possiamo diventare consapevoli di un sentimento prima che questo sia espresso da una mobilizzazione motoria, perciò, non c’è sentimento fino a che non c’è atteggiamento corporeo.

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RI-EDUCAZIONE

Il comportamento di una persona può essere cambiato attraverso due direzioni principali – tramite la psiche o tramite il corpo. Tuttavia, un cambiamento reale deve verificarsi in modo tale da permettere al corpo e alla psiche di modificarsi simultaneamente. Se l’approccio non è globale ma separato, tramite la psiche o tramite il corpo, il cambiamento persisterà fintanto che la persona ne è consapevole e non ha ripreso i suoi schemi abituali e spontanei. E’ tuttavia possibile, esplorando la propria immagine corporea, individuare il ritorno della funzione muscolare non voluta ma abituale, un po’ prima che si verifichi; si può allora sia inibirla che facilitarla con un atto di volontà.

Il vantaggio dì affrontare l’unità mente-corpo tramite il corpo consiste nel fatto che l’espressione muscolare è più semplice perché è concreta e più facile da localizzare. Inoltre, è incomparabilmente più facile rendere una persona cosciente di ciò che accade nel suo corpo, e quindi l’approccio corporeo dà risultati più rapidi e più diretti. Agendo sulle parti significative del corpo, come gli occhi, il collo, la respirazione o il bacino, è facile provocare immediatamente modificazioni d’umore sorprendenti. In tal senso ho ottenuto risultati chiari con una tecnica di gruppo che può essere affrontata anche in forma individuale.

Alcuni esempi potranno essere utili.

Il signor B. era in un’istituzione psichiatrica da 3 anni. Era stato sottoposto ad analisi e, successivamente, a trattamento con elettrochoc. Lasciò l’istituzione quando non vi fu più ragione di prevedere ulteriori miglioramenti. Quando fu rieducato con il nostro metodo, unicamente per fare qualche movimento respiratorio più o meno normale, sognò di trovarsi nel suo bagno, che i muri cadessero improvvisamente e di trovarsi esposto agli occhi di spettatori. Questo sogno si ripeté per dieci notti consecutive finché non si verificò un cambiamento completo nella respirazione. Il comportamento di questa persona subì allora un cambiamento notevole e benefico, precursore di altri miglioramenti.

Il professor Z., che è stato uno dei primi psichiatri ad associarsi al mio metodo, ha pubblicato il caso straordinario d’un paziente di uno dei suoi reparti per il quale non si era riusciti a trovare alcun filo conduttore con un centinaio di sedute di psicoterapia. Dopounariunione settimanale dell’équipe medica si e suggerito l’approccio somatico. La persona è stata collocata in posizione embrìonale e si è ottenuto un certo grado di rilassamento e di miglioramento della respirazione. Dopo quattro sedute si era ottenuto un numero sufficiente di informazioni significative, tali da consentire che il trattamento potesse svolgersi in modo ben definito. Questo esempio mostra come, allo scopo di fare una diagnosi, il considerare l’unità della mente e del corpo e il lavorare sul corpoforniscano una nuova prospettiva che rivela la presenza di rapporti tra fatti apparentemente senza alcun legame.

La vecchiaia, ad esempio, comincia con la limitazione – che noi stessi ci imponiamo – di non formare più nuovi schemi di organizzazione corporea. Dapprima si selezionano atteggiamenti e posture corrispondenti a una certa dignità e quindi si respingono certe azioni, quali sedersi per terra o saltare, che ben presto diventano impossibili a farsi. Il riprendere e reintegrare anche azioni così semplici ha un effetto pronunciato di ringiovanimento non solo sull’aspetto meccanico del corpo, ma sulla personalità nel suo insieme.

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STANDARDS DI NORMALITA’

Esaminando i corpi di parecchie migliaia di persone prima e durante la rieducazione, ho scoperto che vi sono alcune norme per la definizione di salute e di normalità. In particolare ho osservato la distribuzione del tono nei corpi di queste persone. Benché sia difficile esprimere completamente questi concetti di salute e di normalità in poche parole è comunque possibile indicarne i principi generali.

Ad esempio, la testa non deve avere alcuna tendenza a muoversi in particolari direzioni. La testa “normale” dovrebbe avere un accesso agevole in tutte le direzioni dell’ambito anatomicamente possibile dei movimenti. Infatti, il fattore di limitazione dei movimenti del corpo dovrebbe generalmente essere la struttura scheletrica e non la tensione muscolare. In realtà, l’adulto non utilizza che una parte delle possibilità teoriche della struttura umana.

In un contesto di “buona salute” i movimenti coordinati del corpo nel suo insieme obbediscono anche al principio meccanico di azione minima, il che significa che i muscoli sono destinati a lavorare in sincronismo e a realizzare i loro compiti con il minimo dispendio di energia metabolica. In vista di questi principi che guidano le operazioni della struttura umana nel suo insieme, si può decidere fra comportamento normale o anormale.

Per permettere che queste regole di normalità siano universalmente applicate, dobbiamo considerare gli esseri umani nella loro globalità. Una persona e fatta di tre entità: il sistema nervoso, che è il nucleo; il corpo – scheletro, visceri e muscoli – che è il rivestimento del nucleo; e l’ambiente, che è lo spazio, la gravitazione e la società. Questi tre aspetti, ciascuno con il suo supporto materiale e la sua attività, danno insieme un’immagine attiva dell’essere umano.

Fra il nucleo (il sistema nervoso) e il mondo fisico esterno, o anche l’ambiente sociale vi è una relazione funzionale. Tale relazione può anche essere più stretta e più vitale che non quella esistente fra alcune parti adiacenti del sistema nervoso stesso. Si pensi per esempio, a coloro che vanno deliberatamente alla morte allo scopo di difendere un ordine sociale stabilito. In questo caso i legami di un sistema nervoso a un ordine sociale possono essere più forti di quelli esistenti con il suo stesso corpo, tanto che certi individui sacrificano le prime due parti di se stessi al fine di preservare la terza. Voler portare un cambiamento nel comportamento di una persona e trascurare, anche per un momento, una delle sue tre componenti esistenziali sarebbe ignorare la realtà.

Il sistema nervoso è in relazione con il corpo attraverso i nervi e la chimica ormonale e con il mondo esterno attraverso le terminazioni nervose e i sensi, che danno informazioni sulla posizione nello spazio, sul dolore, sul tatto e sulla. temperatura. Il sistema nervoso non ha percezioni dirette dell’ambiente esterno. Ciò significa che la distinzione fra sé e il mondo esterno è una funzione che deve essere sviluppata o appresa. Lentamente, gradualmente, il sistema distingue i segnali d’informazione provenienti dal corpo da quelli provenienti dall’esterno e riconosce la provenienza di ciascuno.

Lo sviluppo di questo processo conduce a una distinzione sempre più chiara fra i segnali provenienti dal sé (il corpo) e quelli provenienti dal mondo esterno – i primi si riconosceranno come “io” e questi ultimi come “non-io”: è l’inizio della coscienza. Imparando a riconoscere come è orientato il nostro corpo, impariamo a conoscere noi stessi. La realtà soggettiva e oggettiva sono dunque organicamente dipendenti dagli elementi motori (i nervi, i muscoli e lo scheletro), i quali sono orientati dal campo gravitazionale in rapporto al quale reagiscono.

La gravità è un aspetto primario della realtà e gioca un ruolo importante nella costituzione della nostra normalità. Ma noi siamo cosi abituati al campo gravitazionale che dobbiamo impararne l’esistenza stessa. Ciò vale anche per la coscienza, che è continua fintanto che non vi è interruzione delle informazioni d’orientamento corporeo. Non ci si può rendere conto di quanto tale orientamento corporeo sia in relazione organica con la coscienza che nel momento in cui avvengono rotture nella connessione. Quando riprendiamo coscienza dopo uno svenimento o un’anestesia, il primo pensiero è “dove sono?”. Quandoavviene un’interruzione nella sequenza delle informazioni di orientamento, non troviamo la tappa seguente che ci si attende, c’è una momentanea lacuna di coscienza. La scossa è così violenta che per un istante perdiamo la capacità di orientarci.

Il termine orientamento viene qui utilizzato nel senso più ampio, comprendente la distinzione fra “io” e “non-io” nell’ambito sociale, con tutte le sue ramificazioni. Gli atteggiamenti di sottomissione, di arroganza, d’importanza o di insignificanza si vedono più chiaramente nello scheletro che in qualsiasi altra parte. Si apre un campo d’indagine immenso una volta che i legami organici dell’orientamento sociale siano non solo di seguire lo sviluppo individuale o le anomalie attraverso il corpo ma anche attraverso gli atteggiamenti dettati da più ampie differenze culturali e razziali. Ne sono esempi l’introversione, il non attaccamento e l’indifferenza degli Indù, con la corrispondente scioltezza delle anche e l’atteggiamento estroverso, sempre sulla breccia, teso al successo, delle nazioni industriali, con la corrispondente incapacità a sedersi con le gambe incrociate. Certamente, per diventare agili e riportare le proprie anche alla norma bisogna dedicarvi tempo, osservarsi, abbandonare qualcosa, staccarsi da qualcosa.

Nell’essere umano, un’azione “normale” può essere o incosciente e automatica o pienamente cosciente e riconosciuta come tale. Quasi tutta l’attività di origine filogenetica nella specie umana è comune a tutto il mondo animale. Questa attività diventa sempre più complessa o cosciente a livello dei rami superiori dell’albero dell’evoluzione. Tuttavia, l’attività acquisita filogeneticamente e sempre espressa in termini astratti e, da quel momento, non è più modificabile, non essendovi possibilità di incidere su un’astrazione. D’altro lato, l’azione acquisita individualmente (ontogenetica) rientra nell’ambito delle sensazioni. Una simile azione può essere modificata o appresa in quanto si può prendere coscienza di differenze reali, come l’importanza dello sforzo, la sua coordinazione nel tempo, la sensazione corporea, la configurazione dei segmenti del corpo nello spazio, l’atteggiamento in piedi, la respirazione, l’espressione verbale, ecc.

Questo genere di apprendimento in piena coscienza è terminato quando il nuovo modo d’azione diventa automatico o persino incosciente, come lo diventano tutte le abitudini. Il vantaggio di un’abitudine acquisita con la presa di coscienza è che, se il confronto con la realtà si rivela inadeguato, si induce facilmente una nuova presa di coscienza in modo da compiere un nuovo cambiamento più efficiente.

E’ mia convinzione profonda che, proprio come l’anatomia ci ha aiutato ad acquisire una coscienza intima del funzionamento del corpo e la neuroanatomia una comprensione di talune attività della psiche, così la comprensione degli aspetti somatici della coscienza ci permetterà di conoscerci più intimamente. La tensione è autodistruttrice. In futuro, dovremmo essere capaci di dirigere le forze che provocano la tensione non solamente per rimuoverla ma allo scopo di migliorare il funzionamento umano.

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TECNICHE PER L’INSEGNAMENTO INDIVIDUALE

Nell’insegnamentoindividuale uso le mani per ottenere l’allineamento desiderato dei diversi segmenti del corpo. E’ difficile descriverne gli effetti, ma posso dame un’idea.

Non tratto mai la parte o l’articolazione del corpo colpita prima di aver indotto un miglioramento nel rapporto testa-collo e nella respirazione. A sua volta, tale miglioramento non avviene se non si corregge la configurazione della colonna e del torace. Per far questo è di nuovo necessario correggere il bacino e l’addome. In pratica, il procedimento consiste dunque in una serie successiva di aggiustamenti, ciascuno dei quali consente un ulteriore miglioramento del segmento appena trattato.

Prima di usare questa tecnica bisogna provarla su di sé per ottenere la delicatezza di tocco necessaria e la sensazione precisa di quale gruppo o segmento muscolare richieda attenzione per primo e quale non la richieda affatto.

Migliorando il rapporto colonna-testa, di solito scompare o si riduce in buona parte anche il problema di natura periferica, tanto che con pochissimo lavoro in periferia si riesce a ricondurne il funzionamento al livello del resto del corpo.

Insisto con 30-40 sedute, una al giorno, e procedo quindi con due o tre sedute alla settimana finché non scompare il disturbo più grave. Di solito, nel cinquanta per cento dei casi circa, i dolori e l’incapacità di usare una parte del corpo scompaiono prima che si concludano le sedute quotidiane.

Inizio facendo sdraiare la persona sul dorso. Tale posizione ha lo scopo di ridurre in buona parte l’influenza della gravità sul corpo, in modo da liberare il sistema nervoso. La reazione del sistema nervoso alla forza di gravita è un’abitudine e in tali circostanze non è in alcun modo possibile portare i muscoli a rispondere diversamente allo stesso stimolo, che è il miglior mezzo per rieducare il corpo. Ovviamente, è difficile ottenere vere e proprie modifiche del sistema nervoso senza ridurre o eliminare l’effetto della gravità.

A tempo debito raggiungo le persone mediante l’uso di trenta situazioni corporee diverse: l’andare verso la posizione seduta, lo stare in piedi, il cammino e l’equilibrio su due rulli di legno. Ulteriori dettagli sul lavoro individuale si chiariranno con la descrizione delle tecniche di gruppo.

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LE TECNICHE DI GRUPPO

Un gruppo è formato da 30-40 persone, comprese fra i 15 e i 60 anni e anche oltre. Ad esempio, un certo gruppo a cui ho insegnato era costituito da uomini e donne che soffrivano di sciatica, di ernia del disco, blocco delle spalle e disturbi simili. La maggior parte dei componenti del gruppo aveva più di 35 anni e portava il busto ortopedico da molti anni. Altri gruppi possono essere formati da insegnanti, attori, cantanti, ballerini, ecc.

Per prima cosa chiedo alle persone di sdraiarsi sul dorso (in base allo stesso principio di ridurre l’effetto della gravità) e di imparare ad ascoltarsi. Vale a dire che esse esaminano attentamente il contatto del proprio corpo con il pavimento e imparano gradualmente a individuare le differenze significative – i punti in cui il contatto è debole o inesistente e altri in cui è completo e distinto. Questo tipo di insegnamento sviluppa la consapevolezza della collocazione dei muscoli che hanno un contatto debole mantenendo costantemente una tensione eccessiva e quindi alcune parti del corpo staccate da terra. E’ possibile ottenere una certa riduzione della tensione tramite la sola presa di coscienza muscolare, ma al di là di ciò non si può realizzare alcun miglioramento nella vita normale se non potenziando la propria consapevolezza dello scheletro e del suo orientamento. In questo caso le articolazioni più difficili sono quelle delle anche. Nelle culture occidentali la consapevolezza della collocazione e della funzione di tali articolazioni è inesistente rispetto a quanto si riscontra presso le popolazioni che siedono per terra invece che sulle sedie. Le persone che stanno su una sedia a rotelle sbagliano quasi sempre nel localizzare le articolazioni delle anche. Inoltre, esse fanno un uso scorretto delle gambe, come se fossero articolate in punti immaginari dell’immagine corporea e non dove lo sono realmente.

Di solito chiarisco che l’elemento centrale del mio lavoro consiste nel portare alla consapevolezza nell’azione o alla capacità di prendere contatto con il proprio scheletro e muscoli e con l’ambiente, praticamente insieme. Non si tratta di “rilassamento”, in quanto il rilassamento vero e proprio può essere mantenuto solo quando non si fa niente. Lo scopo non è il completo rilassamento, bensì un uso sano, possente, facile e piacevole. La riduzione della tensione è necessaria in quanto ogni movimento valido dovrebbe essere privo di sforzo. L’inefficienza è avvertita come sforzo e impedisce di fare di più e meglio.

La riduzione graduale dello sforzo inutile è necessaria per aumentare la sensibilità cinestetica, senza la quale la persona non può autoregolarsi. La legge di Fechner-Weber lo dice chiaramente. Questa legge afferma che per un’ampia gamma di sensazioni ed attività dell’uomo la diversità di stimolo che produce la minima diversità di sensazioni percepibile ha sempre lo stesso rapporto proporzionale con l’intero stimolo. Ad esempio, se reggo un peso di 20 libbre non posso percepire una mosca che vi si poggi sopra, in quanto la diversità di stimolo minima percepibile è compresa fra 1/20 e 1/40 e, pertanto, per percepire la variazione, è necessario aggiungere o sottrarre dal peso almeno mezza libbra. Se tengo in mano una piuma, il peso di una mosca costituisce invece una grossa differenza. Appare dunque ovvio come per poter distinguere variazioni nell’uso è innanzi tutto necessario ridurre l’uso. Si possono ottenere risultati sempre più precisi solo se la sensibilità, vale a dire, la capacità di percepire la differenza, viene migliorata. Per questo motivo il lavoro di gruppo inizia con piccole scoperte nella consapevolezza muscolare.

Altra importante caratteristica del lavoro di gruppo è la continua novità di situazioni mantenuta per tutta la durata del corso. Una volta svanita la novità, la consapevolezza si offusca e non avviene alcun apprendimento. Se una configurazione richiede di essere ripetuta, la ripropongo in decine, centinaia di varianti finché tutte sono note alla perfezione.

Tutti gli esercizi sono organizzati in modo tale da indurre, alla fine della lezione, un cambiamento netto nella sensazione e, il più delle volte, un effetto più o meno durevole. Ciò consente agli allievi di scoprire i rapporti fra le diverse parti del corpo, ad esempio fra la scapola sinistra e l’articolazione dell’anca destra, oppure fra i muscoli degli occhi e la punta delle dita dei piedi.

Per ottenere l’atteggiamento mentale necessario a ridurre gli sforzi inutili il gruppo viene ripetutamente incoraggiato a fare un po’ meno bene del possibile, nel cercare di essere meno veloce, meno forte, meno aggraziato, ecc. Spesso si chiede alle persone di fare del proprio meglio e quindi, deliberatamente, di fare un po’ meno. Ciò è più importante di quanto non sembri. Infatti, se viene messo in grado di percepire il progresso in uno stato di non tensione, l’allievo ha la sensazione di poter far meglio, il che induce ulteriore progresso. Con tale atteggiamento della mente e del corpo si possono ottenere in venti minuti risultati che richiederebbero altrimenti parecchie ore di lavoro.

Un particolare rilievo meritano alcuni movimenti molto piccoli, appena percettibili, di cui faccio ampio uso.Essi riducono in modo straordinario la contrazione involontaria dei muscoli; ad esempio, in pochi minuti, lavorando su un braccio o su una gamba, si riesce a farlo percepire più lungo o più leggero dell’altro. Dopo la lezione gli allievi mantengono la percezione del nuovo modo di agire, e alla sensazione dell’arto più leggero e più lungo si contrappone in continuazione quella dell’altro che viene avvertito come goffo e impacciato al confronto.

Molto spesso nel corso di una lezione si lavora su una sola metà del corpo, la destra o la sinistra, mentre l’altra viene lasciata tale e quale. Anche in questo caso gli allievi recano con sé due diversi standards del proprio corpo – quello abituale e quello migliore che viene loro proposto. Continuano ad avvertire la differenza finché il lato più goffo si distende. In tal modo essi imparano a lasciarsi andare, per così dire, dall’interno. Ciò favorisce il passaggio dell’apprendimento dall’azione su cui si è lavorato ad altre azioni, completamente diverse. Il trasferimento di apprendimento è sostanzialmente personale e differisce da un individuo all’altro. Qualcuno può avvertire il cambiamento nel parlare, altri nel modo di prestare attenzione o di osservare.

Altro principio della tecnica di gruppo è l’analisi dell’immagine corporea, che viene compiuta in due modi paralleli. Il primo consiste nell’indurre una sensazione di lunghezza, ampiezza e leggerezza in un lato del corpo muovendolo realmente, come abbiamo appena spiegato. L’altra metà del corpo viene portata a percepire la stessa sensazione con la semplice analisi mentale. L’analisi mentale consiste nell’ascoltare e acquisire consapevolezza della diversità di sensazioni della memoria motoria dei muscoli nelle due metà del corpo e della sensazione di cambiamento dell’orientamento nello spazio.

Un secondo modo consiste nell’analizzare il corpo da entrambi i lati sin dall’inizio, rivolgendo l’attenzione alla percezione delle distanze fra diverse parti del corpo da entrambi i lati, finché tali percezioni corrispondono alla differenza vera e propria.

Un altro momento della lezione si concentra invece sul miglioramento dei movimenti volontari. In tutti gli atti volontari due fasi si susseguono così rapidamente che è difficile percepire il lasso di tempo che intercorre fra l’una e l’altra. La fase preparatoria è la mobilizzazione dell’atteggiamento corporeo necessaria per compiere l’azione. La seconda fase è il compimento dell’azione. Dal momento che vi è un intervallo di tempo minimo fra queste fasi è possibile imparare ad inibire o a potenziare per scelta la mobilizzazione preparatoria. Quando vi è scelta, possiamo o completare l’azione o impedirla e annullare così l’intero atteggiamento preparatorio. Nel gruppo, lavoriamo per chiarire il lasso di tempo fra l’atteggiamento preliminare all’azione e il suo compimento. Tale chiarificazione o consapevolezza migliora la scioltezza e il controllo volontario dei movimenti.

Molti esercizi utilizzano l’induzione, sia positiva che negativa, cioè gli effetti che si verificano a seguito di sforzi sostenuti e prolungati. Ad esempio, mettetevi in piedi con il lato destro vicino alla parete e premete contro di essa con il dorso della mano come per spingerla lontano. Dopo aver mantenuto questa pressione per un minuto circa, fermatevi.

Lasciate quindi il braccio destro libero di fare quel che vuole, si alzerà arrivando fino all’altezza della spalla con una leggerezza particolare, quasi galleggiasse. Se abbassate volontariamente il braccio e lo lasciate nuovamente libero, la stessa cosa si ripeterà parecchie volte, ma con intensità decrescente. Questo esercizio mostra come lo sforzo sostenuto possa indurre il movimento quando cessa lo sforzo.

Qualunque sia l’esercizio o il principio utilizzato, la lezione viene organizzata in modo tale che senza concentrazione, senza cercare di percepire le differenze, senza una reale attenzione gli allievi non possono passare allo stadio successivo. La ripetizione, nel senso di ripetizione meccanica senza attenzione viene scoraggiata, resa impossibile di fatto. Molti esercizi consistono nel concentrarsi sui mezzi con cui raggiungere uno scopo piuttosto che sullo scopo in sé, che è un modo importante per ridurre la tensione. Tutti questi esercizi mirano a conseguire coordinamento mentale e fisico e in particolare una buona postura eretta e un corretto modo d’agire.

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POSTURA ERETTA E AZIONE CORRETTA

Non vi è niente di più semplice della postura eretta – postura eretta significa: allineamento verticale. Ma tutti i termini di questo genere, compreso “postura”, implicano qualche cosa di rigido e di statico. E, effettivamente, è vero che poche persone fanno onore alla flessibilità del proprio corpo. Un esame attento mostra chiaramente che la postura eretta è in realtà dinamica, con un costante assestamento della struttura corporea piuttosto che staticamente fissa.

Il vantaggio reale della postura eretta è la facilità di ruotare intorno alla verticale, cioè da destra a sinistra o in senso opposto. Questa rotazione allarga l’orizzonte umano ed è anche il movimento naturale più frequente della testa. Durante l’evoluzione della struttura umana, l’uso più sistematico della testa è stata la sua rotazione verso la fonte di uno stimolo esterno. I sensi localizzati a livello della testa sono tutti organi doppi la vista, l’udito, l’odorato. Infatti, per precisare la collocazione esatta dello stimolo, sono necessarie due fonti d’informazione. Così, ad esempio, la testa ruota verso una sorgente sonora in modo che le due orecchie siano parimenti stimolate. La testa ruota anche per trovarsi di fronte a uno stimolo visivo. Le retine sono collegate internamente in modo tale che quando guardiamo l’oggetto frontalmente sono stimolate allo stesso modo, mentre all’inizio della stimolazione una lo era più dell’altra. Lo stesso avviene per gli odori, anche se in tal caso le informazioni di distanza e direzione sono molto più grossolane.

Si vede dunque come, al di là di quanto possa essere esplorato con il tatto, la relazione con qualsiasi cosa esterna è determinata dal movimento della testa. Ogni informazione proveniente dallo spazio intorno a noi passa attraverso la testa. E, più di ogni altra cosa, sono i nostri rapporti con il mondo che ci circonda a influenzare la qualità del movimento della testa.

Numerosi meccanismi del sistema nervoso organizzano queste funzioni elementari di legame con l’ambiente; così che quando uno degli organi doppi è stimolato, la testa ruota finché ci troviamo di fronte alla sorgente della stimolazione. La testa è ruotata sulla colonna cervicale e la torsione allunga la pelle, i muscoli e i tendini del lato sinistro del collo quando giriamo verso destra e viceversa. L’allungamento o lo stiramento di una fibra comprime una fibra nervosa interna e tale stimolazione è alla base dell’organizzazione del corpo, che è allora pronto a seguire la testa ed a girarsi nella direzione del cambiamento avvenuto inizialmente nell’ambiente. Quando il corpo segue la testa, la torsione del collo si annulla, le fibre nervose intra-muscolari cervicali non sono più compresse e il corpo non ha quindi più bisogno di ruotare.

Come la zona cervicale, o della nuca, la regione bassa della colonna vertebrale è in grado di ruotare attorno all’asse centrale. La rotazione del resto della colonna è, in confronto, più ridotta. Nelle due regioni superiore ed inferiore della colonna, alcune fibre nervose trasmettono la rotazione della testa ai centri superiori, che in tal modo constatano come il corpo sia organizzato per poter girare, diminuire la torsione e trovarsi in posizione frontale nella stessa direzione della testa.

Nella maggior parte delle persone, la testa indica nettamente con quali zone dello spazio circostante esse hanno pochi contatti. E il portamento della testa è caratteristico del mantenimento complessivo e dei modi d’agire di ogni persona.

Un altro aspetto della postura eretta è che essa è una proprietà biologica della struttura umana; non vi dovrebbe essere sensazione alcuna di azioni, contegno o sforzi di qualsiasi genere. Ad esempio, il peso della mascella inferiore con tutti i suoi denti è considerevole e, tuttavia, abbiamo qualche difficoltà nell’acquisire coscienza che facciamo qualcosa per mantenere alzata la mascella inferiore. Lo stato normale dei muscoli della mascella inferiore è una contrazione pari alla forza gravitazionale che agisce su di essa. I movimenti volontari sono ottenuti con una aggiunta o una deduzione a questa contrazione permanente. I muscoli della mascella inferiore, come la maggior parte dei muscoli dello scheletro, ricevono ordini sotto forma d’impulsi scaturiti da più di una fonte. Lo star su è assicurato nel sistema nervoso da meccanismi antigravitazionali e non vi è sensazione di azione, né di sforzo, fintanto che il messaggio ai muscoli proviene dai centri inferiori.

Nei muscoli cervicali avviene la stessa cosa. Malgrado il peso della testa e il suo centro di gravitazione situato davanti alla colonna vertebrale, non c’è sensazione d’azione, né di sforzo nel mantenimento della testa. Ciò è dovuto alla contrazione considerevole di alcuni muscoli per mantenere la testa ritta. L’intero corpo è trattenuto nella caduta in avanti dai muscoli del polpaccio, ma noi non sentiamo alcuno sforzo. Ancora una volta queste interrelazioni provano che la postura eretta non è uno stato statico, ma un’attività dinamica.

La postura reale è sempre il risultato di ciò che la struttura farebbe tramite i meccanismi specifici e di ciò che abbiamo appreso a fare adattandoci al nostro ambiente sociale e fisico. Il problema è che buona parte di ciò che abbiamo appreso è nocivo per il nostro sistema, in quanto è stato appreso nell’infanzia, in un momento in cui una dipendenza immediata dagli altri deformava i nostri bisogni reali. Un’azione abituale da molto tempo è avvertita come corretta, ma la nostra impressione è poco attendibile finché non abbiamo rieducato il nostro senso cinetico sulla base di norme corrispondenti a realtà verificate. Come si può realizzare questa rieducazione? Innanzi tutto dobbiamo percepire i benefici dei miglioramenti per decidere di dedicarle tutto il tempo necessario. Ma il beneficio non può essere immaginato fintanto che il miglioramento non e stato avvertito, cosicché all’inizio dobbiamo semplicemente provare per curiosità. Le persone la cui vitalità è a un livello molto basso non proveranno e neanche Dio potrà aiutarle.

Il corpo dovrebbe essere organizzato in modo da poter cominciare qualsiasi movimento – in avanti, indietro, a destra, a sinistra, in su, in giù, o ruotare a destra o a sinistra – senza aggiustamento preliminare dei segmenti del corpo, senza una repentina modificazione del ritmo respiratorio, senza stringere la mascella inferiore né contrarre la lingua, senza alcuna tensione percettibile dei muscoli del collo e senza bloccare lo sguardo. Quando il corpo e organizzato in questo modo, la testa non viene tenuta fissa, è libera di muoversi facilmente in tutte le direzioni senza aggiustamenti preliminari. Se queste condizioni sono mantenute durante un’azione, persino il fatto di sollevare il corpo non è avvertito come sforzo. A riprova di ciò, piegate lentamente l’indice destro e avvertite la sensazione di facilità, di non sforzo. Piegate quindi lentamente il polso – lo sforzo è pari a quello di piegare il dito. Piegate ora il gomito oppure alzate lentamente il braccio o alzate o abbassate la testa o il tronco. In ciascuno di questi casi la sensazione di sforzo è pari a quella avvertita nel piegare l’indice, ma il lavoro effettuato per alzare il dito è circa 100 gr./cm., quello per il polso 1000 gr./cm., quello per il tronco 500.000 gr./cm. Effettuando i movimenti, la sensazione di sforzo non aumenta in proporzione al lavoro effettuato, ma indica il grado di organizzazione che produce lo sforzo. Questa organizzazione corrisponde alla struttura del corpo. La dimensione e la potenza dei muscoli aumenta dalla periferia, come nel caso delle dita, verso il centro del corpo. Da quel momento, il tasso di sforzo è uguale in tutte le parti al lavoro. Alzare o abbassare il tronco sollecita i muscoli del bacino (come i glutei e i muscoli delle cosce con le loro enormi sezioni) nella stessa proporzione in cui sono sollecitati i muscoli impiegati nei movimenti delle dita.

In conclusione, la conoscenza di sé attraverso la presa di coscienza è l’obiettivo della rieducazione. Quando noi diventiamo coscienti di ciò che facciamo realmente, non di ciò che diciamo o crediamo di fare, si spalanca davanti a noi la via del miglioramento.

Nell’ambito del tema corpo-mente, un vasto campo è stato lasciato inesplorato, ma è stato trovato un utile punto di partenza che fornisce i mezzi per ottenere notevoli cambiamenti nel comportamento. Non vi può essere alcun miglioramento senza cambiamento. Anche se si può sempre fornire aiuto nel momento in cui le cose vanno male, noi non possiamo, tuttavia, smettere i nostri sforzi fino a che, in tutto il mondo, gli insegnanti non impareranno come sviluppare nei loro allievi la consapevolezza dell’unità di corpo e mente, in modo che si possano raggiungere risultati più elevati che non la semplice correzione degli errori. Quando il corpo impara a perfezionare tutte le possibili forme e configurazioni delle sue parti non solo cambia la forza e la flessibilità dello scheletro e dei muscoli, ma si realizza un profondo e benefico mutamento nell’immagine del sé e nella qualità della direzione del sé.

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